Pazienti difficili: esistono?

I “pazienti difficili“: certamente esistono.

Da molti anni ci occupiamo di gestire terapie “difficili” o complesse. Certamente i pazienti con problemi molto complessi, i pazienti molto esigenti possono essere pazienti difficili, ma il più delle volte i veri pazienti difficili sono i pazienti sfiduciati.

Nel rapporto medico paziente la fiducia è un fattore rilevante ai fini del successo della terapia. Qualunque terapia richiede una dose di adattamento del paziente, qualunque guarigione può presentare dei sintomi, dal fastidio al dolore. Un paziente sfiduciato può interpretare tutto come segno di non riuscita della terapia.  L’interpretazione in senso negativo di ogni sintomo, anche quello più fisiologico,  può determinare, la messa in discussione del programma di terapia, la non collaborazione con quanto prescritto, la sostanziale rottura della cosiddetta “alleanza terapeutica” tra clinico e paziente. Questi sono in assoluto i veri pazienti difficili.

Tipicamente la sfiducia deriva da precedenti esperienze di cura che non hanno corrisposto le aspettative.

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Il più classico e purtroppo frequente esempio di paziente drammaticamente sfiduciato è il paziente che soffre di dolori facciali cronici a partenza dall’articolazione della mandibola o dai muscoli masticatori.

Purtroppo spesso si tratta di un paziente che è stato avviato su un percorso di terapie a carico dei denti per modificarne l’occlusione e in  questo modo “guarirlo” dei suoi sintomi dolorosi.

Mensilmente riceviamo pazienti ai quali tempo addietro è stato dato da qualcuno come spiegazione di un sintomo purtroppo cronico e purtroppo doloroso assolutamente e penosamente autentico “l’incorretto combaciamento dentale” o in altri termini una “malocclusione”. Molti colleghi esperti che si occupano di questo tipo di problemi descrivono la stessa esperienza: pazienti avviati verso terapie estese senza indicazioni adeguate, per risolvere presunti problemi “occlusali”.

Purtroppo in molti casi sono pazienti che, instradati su un binario ad una prima casuale “stazione” hanno iniziato un percorso di terapie relative alla dentatura nella migliore delle ipotesi superflue, purtroppo a volte  anche dannose.

Quello che spesso appare evidente in molti di questi pazienti gia ad un primo colloquio è il trascinarsi di situazioni personali o anche famigliari estremamente complesse.

“Stringi i denti” non è semplicemente un espressione gergale, ma la descrizione di un comportamento fisiologico in stati di stress. Che lo stress sia quello di una malattia cronica, di una sofferenza come un lutto, di un dolore fisico cronico, o anche di tipo diverso (dall’uomo primitivo che fugge inseguito da una tigre, al moderno impiegato alle prese con un superiore aggressivo come una tigre) poco cambia.

Il nostro sistema nervoso centrale in molte situazioni attiva comportamenti che potremmo definire primordiali che comportano un’aumentata attività muscolare dei muscoli masticatori. In tutti questi casi l’incolpevole “occlusione dentale” diventa l’interfaccia sulla quale si scarica ogni pressione, come uno zerbino di casa su cui ci puliamo pesantemente le scarpe sporche. Lo zerbino certamente può consumarsi e nel tempo danneggiarsi, ma è totalmente incolpevole dei problemi o sintomi.

L’idea che la forma o il tipo di contatto dei denti sia la causa dei problemi stessi, l’idea che esista una “malocclusione” che vada a causare per la sua stessa esistenza i sintomi fu una constatazione degli anni ’50-’60. E’ sopravvissuta come pensiero dominante in odontoiatria fino quasi all’inizio degli anni ’90, circa 30 anni fa. Poi una serie di elementi molto chiari e netti hanno reso evidente che l’occlusione non è la causa dei problemi. E dunque è del tutto privo di senso in assenza di problemi strutturali dei denti modificare la chiusura per risolvere questi sintomi.

Un’esperienza ampia e ultra decennale di trattamenti complessi, consente, tra le altre cose, di identificare dove il problema è dentale e intervenire, ma ancora di più dove i denti non sono da toccare e di consigliare il paziente nel migliore dei modi per una gestione realmente efficace della sua sintomatologia dolorosa cronica.

Tra l’altro il più delle volte le terapie sono assolutamente non invasive, estremamente efficaci e (sorprendentemente per alcuni) molto meno costose di un non indicato trattamento odontoiatrico…

 

Un bel sorriso è un sorriso sano?

Cosa serve per avere un sorriso sano? La bellezza del sorriso si associa a valutazioni che immediatamente collegano il bello all’idea di salute. Più in generale idealmente colleghiamo al bello il concetto di sano.
“Sorriso bello” uguale a “sorriso sano”.
Guardando un volto istintivamente siamo portati ad associare un sorriso armonioso e bello ad una idea di salute e di pulizia della persona.
Pensiamo allo storico film con un Alberto Sordi “dentone” che doveva faticare tremendamente per lavorare in televisione a causa di un brutto sorriso, o restando nel cinematografico ma più recente “Bohemian Rapsody” al cantante Freddie Mercury a cui a causa di brutti denti furono inizialmente proposte terapie complesse da lui non accettate.
Nel film i compagni di band di Freddie gli dicono che con quei denti non potrà mai avere successo.
Studi scientifici recenti sulla comunicazione  non verbale ci dicono che la percezione del significato di un bel sorriso a seconda delle aree geografiche del mondo si estende all’idea di intelligenza ed all’idea di onestà (singolarmente in Italia un bel sorriso è più associato all’idea di onestà che non a quella di intelligenza, nei paesi nord Europei viceversa a entrambi).
Nel nord America all’idea di bel sorriso si associa un idea di miglior performance economica, da cui la forte spinta verso trattamenti estetici (faccette in ceramica per ricostruire la parte esterna del dente, sbiancamenti dentali per denti sempre più bianchi).
In Europa ed in Italia la richiesta estetica è ancora all’interno di parametri di relativa normalità. Si parla a volte di estetica “hollywoodiana” e di estetica europea ad indicare un bello non eccessivamente stereotipato ma in armonia con il volto e l’individuo.
L’importanza della terapia e della prevenzione relativamente al sorriso e dunque alla bocca in senso più ampio ha quindi a che vedere sia con lo stare bene (brutto sorriso, brutti denti, malattie dei denti, dolore) che con l’essere percepiti bene (bel sorriso, bella persona)
In concreto un bel sorriso è certamente prima di tutto un sorriso sano, quindi il raggiungimento del “bello” passa per controlli regolari e appuntamenti periodici di igiene orale presso studi dentistici, viceversa in presenza di problemi a denti e gengive (una bocca “non sana”) normalmente mancherà anche la bellezza, saranno necessarie terapie per curare i problemi presenti, le stesse terapie potranno essere orientate al miglioramento dell’estetica. Ma è importante aver chiaro che un sorriso sano può anche non essere esteticamente ideale.
è importante aver chiaro che un sorriso sano può anche non essere esteticamente ideale
Per questo motivo, in presenza di salute orale, la realizzazione di miglioramenti del sorriso in senso estetico va sempre valutata nell’ottica di terapie che non siano inutilmente distruttive o irreversibili, soprattutto in soggetti giovani dove una terapia estetica non adeguatamente gestita potrebbe creare nel corso degli anni la necessità di ulteriori e più complesse terapie. Il raggiungimento di estetica a danno della salute dei denti è purtroppo un evento non occasionale e di recente sempre più frequente.
Su questi temi ho avuto modo di esprimermi di recente in una intervista su Rai Radio 1 con la giornalista Annalisa Manduca, nel ruolo di presidente 2019-2020 della Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica, la società scientifica che da 40 anni raduna i dentisti italiani più competenti in materia di protesi.

Sono stato anch’io in Romania per i denti…

Lo scorso mese sono andato in Romania, a Bucharest, per una questione di denti: mi sono trovato bene e ci tornerò a settembre.

 

No, non sto facendo outing come turista odontoiatrico, non sono andato a curarmi i denti, ero invitato a tenere una conferenza all’interno del congresso annuale dell’Associazione dei Dentisti Privati della Romania, tornerò a Bucharest, come keynote speaker al prossimo convegno dell’European Prosthodontic Association questo settembre.

E’ stata un’esperienza molto interessante, sia umanamente che odontoiatricamente.

Umanamente Bucharest è una città in cui la storia recente è ancora intrisa nei muri, dall’edilizia di regime comunista ai segni dei proiettili della rivoluzione dell’89 che ricordo ancora sui nostri telegiornali d’allora. E’ emozionante sentire i racconti da chi c’era e vedere quanta Storia sia trascorsa in poco più di un quarto di secolo.

Professionalmente ho conosciuto colleghi di ottimo livello, con competenze, determinazione e molta voglia di darsi da fare. Alcuni di questi sono ad un livello qualitativo realmente elevato, direi pari al miglior 5% dei miei colleghi italiani (in effetti sono probabilmente il miglior 5% dei dentisti rumeni). Ho visto piani di trattamento complessi perfettamente realizzati e gestiti in modo molto accurato. Nella realizzazione di elaborate e complesse terapie protesiche interdisciplinari ho visto una meravigliosa cura dei dettagli, ho visto gestire in tempi biologici adeguati trattamenti decisamente complessi. Ho visto bei denti fatti da bravi odontotecnici.

Personalmente se vivessi li mi farei curare assolutamente da alcuni di loro.

Ma non vivendo li se dovessi andare apposta a farmi curare, da “turista odontoiatrico” sinceramente non ci andrei.

Il cosiddetto “turismo odontoiatrico” sempre più spesso viene identificato come una soluzione possibile al costo del curarsi i denti.

Ogni terapia complessa ha ovviamente un costo, non solo economico (va da se che il costo del lavoro e la tassazione in Romania sono molto minori che in Italia, con scontate ricadute sui costi finali di qualsiasi prestazione lavorativa, ragione che ha favorito in altri campi ad esempio la delocalizzazione di molte aziende italiane).

Il costo vero di una terapia complessa è il tempo che ci vuole a farla.

Ovviamente non sto parlando del tempo di esecuzione di una singola fase: un bravo operatore sa essere più veloce di uno mediocre perché ha esperienza e conosce meglio quello che sta facendo. Parlo del tempo necessario a ricostruire condizioni estese conseguenti a patologie dentali e parodontali che abbiano colpito l’intera bocca, quelle condizioni in cui il costo complessivo delle terapie si fa sentire maggiormente.

Certamente l’evoluzione di tecniche e metodi hanno ridotto tempi di gestione della terapia, ma inevitabilmente se volete una terapia per un problema complesso e che sia anche di qualità elevata, necessariamente il vostro dentista (che sia a Milano, a Bucharest, a Taiwan o a Capetown) dovrà rispettare procedure dettate da tempi biologici.

Ci vogliono appuntamenti, ci vogliono controlli. Una terapia complessa di qualità elevata non si fa in un fine settimana, o due.

Dunque se volete andare a fare terapie di ottima qualità all’estero vi posso dare i nomi di ottimi colleghi, ma se il problema è complesso la soluzione richiederà tempi adeguati e molti viaggi, in definitiva una gestione, anche economica, tutt’altro che semplice (in alternativa ci si può trasferire per qualche mese, ma dubito possa essere vantaggioso).

Una terapia di una situazione complessa in tempi ridotti (quali quelli che normalmente una persona può pensare di passare all’estero) purtroppo darà inevitabilmente un risultato di compromesso.

Qualcuno che fa le cose veloci e facili lo troviamo anche in Italia, con tutte le conseguenze anche gravi della sottovalutazione di un problema di salute (ieri sera ne parlava anche Mi Manda Rai 3).

Il problema non è essere in Italia o in qualsiasi altro paese: esistono dentisti molto bravi in molte nazioni. Il problema è fare bene quello che serve con i tempi che servono, tempi che per ogni situazione complessa mal si conciliano con il concetto di turismo odontoiatrico (vado-sistemo-torno).

Purtroppo presto e bene difficilmente vanno insieme, come diceva la mia nonna e (ho scoperto) anche le nonne di tanti miei bravissimi colleghi stranieri.

“Dottore il laser cura le gengive?”: comunicare ai pazienti nell’epoca delle fake news

Ieri stavo visitando una paziente per un problema di parodontite cronica. Mentre le stavo spiegando le cause e le necessarie terapie la paziente molto cortesemente e con curiosità mi ha chiesto “Dottore ho letto su internet che il laser serve per curare le gengive, lei usa il laser per curarmi?

Ho spiegato alla signora quello che so relativamente all’efficacia clinica dell’utilizzo di laser per la terapia della parodontite, facilitato in questo dalla posizione esplicitamente espressa dalla Società Italiana di Parodontologia sia in sede di letteratura internazionale che in sede di news online.

E’ noto che il laser nulla aggiunge alle consuete procedure di terapia parodontale non chirurgica.

La signora ha ascoltato le mie parole e spontaneamente ha commentato “Allora quello che ho letto su Internet è solo un modo di fare pubblicità!

Purtroppo spesso non è così semplice farsi capire dai pazienti, purtroppo spesso non ci sono prese di posizione così nette da parte di fonti autorevoli che possono essere percepite dai pazienti come credibili. In quei casi la difficoltà principale nello spiegare ad un paziente quanto in realtà può o non può essere fatto clinicamente è nel non essere percepiti come un altro dentista che compete per “accaparrarsi” il paziente.

Nell’epoca delle “fake news” il problema della credibilità di ciò che è scientifico, spesso per sua natura dunque anche impreciso e non definito rispetto alle tipicamente assolute verità pseudoscientifiche è un problema complesso e dibattuto.

Fortunatamente nel piccolo campo odontoiatrico il vantaggio dello stare dalla parte delle migliori evidenze scientifiche disponibili è che spesso si finisce per proporre al paziente meno terapia anziché più terapia: spesso, come giustamente percepito dalla paziente relativamente ai promessi miracoli del laser per la cura della parodontite, chi propone terapie pseudoscientifiche lo fa perché questo garantisce un cospicuo “over treatment“.

Nel campo ad esempio delle complesse e complicate (e non dimostrate) correlazioni tra occlusione e postura può essere davvero difficile far capire ad un paziente affetto da una patologia cronica e alla giusta ricerca di terapia che la temporanea percezione di miglioramento conseguente ad un trattamento può non essere una prova del fatto che quel trattamento funzioni.

Per fortuna è difficile essere percepiti come “a caccia di lavoro” se banalmente si spiega che un trattamento molto complesso indicato come indispensabile per risolvere un problema di bruxismo nella migliore delle ipotesi se fatto a regola d’arte ripristinerà tessuto dentale perso con qualche sostituto artificiale, ma in nessun modo “curerà” un problema di origine non dentale.

A volte pazienti visitati e trattati da carismatici guru esprimono convinzioni estreme rispetto alle quali ogni posizione che anche solo relativizzi correlazioni percepite come assolute verità viene accolta in senso estremamente negativo.

Il rischio di stare dalla parte della migliore evidenza scientifica disponibile è a volte quello di perdere qualche lavoro in più, un rischio che in fondo in un epoca di ben più grandi emergenze ed incertezze si può anche correre.

“Dentisti ladri” (o forse no). Tre cattive notizie e una buona.

Nei giorni scorsi siamo (la mia categoria) finiti sui giornali spesso. La discussione in Parlamento di emendamenti vari relativi al settore ha dato via libera all’espressione sui media di un’immagine della categoria in verità piuttosto negativa (“lobby”, “casta”, “nemici del mercato”, “nemici della salute”). Indubbiamente “cattivi”.

Di fronte ai “cattivi” i “buoni” rappresentati da investitori che nel nome del mercato con pagine acquistate sui giornali si sono posti come i difensori della salute dei pazienti. La polarizzazione di “buoni” e “cattivi” diventa molto marcata leggendo ad esempio i commenti online agli articoli dei quotidiani, dove rapidamente i termini diventano offensivi.

“Dentisti ladri” è capitato di leggere, (nonostante ogni critica sulla malasanità è difficile leggere ad esempio “medici ladri”).

Ieri coincidenza vuole prima due notizie di cronaca (nera) sul mondo dell’odontoiatria con altri potenziali “cattivi”, strano ma vero non dentisti. In serata poi ancora dentisti alla ribalta su Le Iene.

Copia di dentisti ladri1

La prima notizia: arresti in Lombardia per corruzione nella realizzazione di strutture odontoiatriche private convenzionate con la Regione (400 milioni di euro di affari). La seconda: arresto in Spagna del fondatore e proprietario della catena multinazionale Vitaldent (500 milioni di euro di fatturato) con un buon numero di suoi collaboratori, per frodi di natura fiscale e finanziaria e ipotesi di riciclaggio di denaro.

Copia di dentisti ladri 2

In serata per chiudere il servizio su Italia 1, praticamente un “publiredazionale” su un centro odontoiatrico croato con affermazioni surreali sulla biologia, tra l’altro del tutto prive di contraddittorio. Nessun accenno ad esempio al tema della sostanziale impossibilità di tutela medico legale per i pazienti per terapie condotte in quelle situazioni, ne al ruolo di prevenzione/terapia di mantenimento, che ovviamente per terapie che si vogliono complete in 2-3 appuntamenti non devono essere nominate, pena insinuare nel potenziale paziente il dubbio che una terapia non sia “per sempre” come un diamante comprato scontato, ma richieda controlli e integrazione biologica.

Al di là degli sviluppi  (accertamenti di colpe etc.) le due notizie e lo “spot pubblicitario” sono utili per un ragionamento semplice: la relazione economica dentista paziente è sempre potenziale fonte di problemi.

I costi elevati del nostro lavoro (soprattutto quando si privilegia la qualità) sono spesso di difficile comprensione per il paziente (e questo è certamente anche un problema di scarsa capacità di comunicazione del valore della cura da parte della categoria).  Il servizio delle Iene, pur nella sua evidentemente finta ingenua univocità lo conferma. Ma ogni volta che un anello in più si aggiunge alla già delicata catena economica dentista-paziente il rischio concreto è in definitiva si aggiungano ulteriori elementi di possibile problema economico. Inspiegabili e miracolosi tagli di costi spesso sembrano nascondere altro. Omissioni sulla biologia e sulla prognosi nei casi più semplici come Le Iene. Quando i valori in gioco sono elevati, come nel caso di appalti pubblici per molti milioni di euro o di aziende di dimensione internazionale il rischio concreto è quello di imbattersi vera e propria delinquenza, corruzione, riciclaggio di denaro.

Non la battuta squalificante, offensiva, fastidiosa ma pur sempre evidentemente battuta “dentista ladro”, ma delinquenza reale e, come per ogni “economia di scala” che si rispetti, su scala importante. Forse  i “cattivi” non siamo noi.

Ma c’è stato spazio anche per una buona notizia e delle speranze: proprio ieri in quanto socio AIOP (Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica)  ho ricevuto il materiale divulgativo relativo al servizio che AIOP offre in collaborazione con Altroconsumo, una fra le principali associazioni di consumatori italiane.

Altroconsumo ha riconosciuto in AIOP la stessa chiarezza di intenti e desiderio di trasparenza che da anni ne fa un riferimento importante del settore. Il servizio “Chiedi al dentista” si propone innanzitutto di dare informazione corretta a pazienti sempre più spesso disorientati in un panorama di offerte come abbiamo purtroppo constatato dai contorni spesso poco chiari.

Se la catena migliore è la più corta, ovvero il paziente e il suo dentista, probabilmente l’alleanza migliore è la più diretta: associazioni scientifiche odontoiatriche che fanno della buona scienza la loro bussola e associazioni di cittadini che fanno del buon diritto la loro bussola. Chiarezza per chiarezza, liberi gli uni, liberi gli altri, qualità per qualità.

Dentisti e pazienti, nessun altro, questa la buona notizia. Noi continuiamo così.

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Odontoiatria interdisciplinare: cos’è?

Spesso tra dentisti si dibatte e ci si confronta sul tema della “odontoiatria interdisciplinare o multidisciplinare”.

Per il paziente il concetto rischia a volte di essere oscuro: non è già il dentista lo specialista nella sua disciplina?

In effetti questo è vero solo parzialmente, infatti ormai da molti anni all’interno della “disciplina” odontoiatrica esistono una serie di specializzazioni sempre più settoriali, dall’Ortodonzia all’Implantologia passando ovviamente per Protesi, Parodontologia, Endodonzia e Conservativa.

odontoiatria interdisciplinare

In un’epoca di super specializzazione molto spesso la soluzione ai problemi dei pazienti esiste ma è frammentata in tante personali competenze, non necessariamente collegate. Il paziente ha oggi teoricamente la preziosa possibilità di disporre delle più avanzate risorse di ogni singola disciplina, tuttavia è esperienza comune che le varie specializzazioni portino al successo complessivo del trattamento solo se abilmente orchestrate, nell’ambito di un preciso riferimento ed all’interno di una visione di insieme.

Questo purtroppo non sempre si verifica.

In questa video intervista in occasione di un convegno sul tema della odontoiatria interdisciplinare il dr. Carlo Poggio,  descrive la sua visione riguardo all’approccio che il professionista dovrebbe avere nei confronti della multidisciplinarietà: non una successione di eventi slegati tra loro, ma un’interazione attenta, un’azione coordinata a favore del paziente.

In particolare l’attenzione è posta sul concetto di alleanza terapeutica quale momento indispensabile, soprattutto nei trattamenti interdisciplinari più complessi, per motivare il paziente e ottenere la migliore collaborazione ed i migliori risultati.

Dentisti e Cassazione

Dentisti e Cassazione

Dentisti e Cassazione: ovvero non capita tutti i giorni di leggere che la Corte di Cassazione si occupi di dentisti.

La scorsa settimana è comparsa sui giornali la notizia che la Corte ha deliberato sulla responsabilità per il dentista che effettui terapie a carico di un paziente anche delle terapie preesistenti al proprio intervento. In altre parole il dentista che esegue un trattamento (tipicamente terapie protesiche) deve valutare, informare ed eventualmente proporre terapie aggiuntive dove lo stato dei trattamenti esistenti potesse creare problemi alle nuove terapie. Un esempio banale: la realizzazione di una corona protesica su un dente precedentemente devitalizzato.

La notizia si presta ad un paio di considerazioni:

  • in un’ottica di approccio globale alla salute orale, come quella che da sempre perseguiamo presso lo Studio Poggio, la sentenza non aggiunge nulla ad una prassi consolidata di valutazione globale, e programmazione delle terapie in accordo con il paziente informato, il miglior alleato che un medico possa avere per il successo della terapia.
  • in un ottica strettamente legale il rischio concreto è che in una rincorsa alla “difesa” del medico da eventuali contestazioni una sentenza di questo tipo porti ad un aumento di terapie molto radicali (estrazione, sostituzione implantare anche dell’intera arcata). Terapie assolutamente valide in moltissime situazioni, ma che rischiano di essere spinte da clinici più inclini a tutelarsi legalmente che a scegliere il tipo di trattamento più ragionevole e valido per il singolo paziente. La “medicina difensiva” (eseguire esami o procedure puramente a tutela del medico in caso di contestazione) rischia in questo caso di sfociare in una “odontoiatria aggressiva”.

In altre parole chi presta già la massima attenzione alla salute orale ed alla riuscita a lungo termine delle terapie non aspetta che sia un’aula di tribunale a istruirlo sui fattori di rischio del trattamento e sulla corretta e trasparente informazione al paziente dei pro e contro di ogni scelta di terapia, mentre per chi prestasse prevalentemente attenzione alla redditività dei trattamenti eseguiti una sentenza in un aula di tribunale potrà diventare uno strumento in più per spingere su maggiori ricavi.

Probabilmente la qualità in odontoiatria non viene dalle aule di tribunale.

 

Il miglior dentista: come si fa a trovarlo?

“Dottore, ho letto su Google che lei è il migliore in Italia!”: iniziare una Prima Visita con un Paziente favorevolmente predisposto nei confronti del Professionista aiuta ad instaurare un rapporto importante e difficile come quello necessario per la buona riuscita di una terapia, ma certo un esordio così crea imbarazzo.

miglior dentista

Google offre una risposta a qualunque domanda, e come poi ho verificato la paziente aveva a suo modo ragione: facendo la ricerca “il migliore dentista d’Italia” algoritmi complessi tiravano fuori nelle primissime righe il mio nome (quel giorno e da Milano, ovviamente per i complessi criteri di geolocalizzazione con cui funziona Google).

Risposta esatta dunque? Google ha sempre ragione? In realtà è la domanda che è sbagliata.

Può davvero esistere un “migliore”?

Certo ogni paziente desidera e spesso è convinto di aver incontrato “il migliore” cui affidare la propria salute in ogni campo della medicina ed ovviamente l’odontoiatria non fa differenza.

Talvolta con il titolo “I Migliori” quotidiani o periodici pubblicano allegati o numeri speciali in cui elencano i cosiddetti migliori nei vari campi della medicina: non vorrei deludere nessuno svelando un classico segreto di Pulcinella, ma di consueto questi numeri speciali sono preparati alcuni mesi prima contattando elenchi di specialisti e chiedendo qualche migliaio di euro per comparire nello “speciale”. L’ultima volta che mi è stato proposto la richiesta era da 4000 a 8000 euro a seconda di una o due pagine. Gentilmente ho declinato “l’onore” di essere incluso.

Allora esiste o no e se si come si trova il dentista migliore?

Quando ero bambino almeno per me era scontato ne esistesse uno più bravo di tutti ed era ovviamente il mio papà  e per un bambino era bello credere ad un mondo così semplice.

Negli anni ho avuto la fortuna ed il piacere di conoscere decine di eccezionali dentisti italiani e stranieri, prima maestri, poi colleghi, e più ho approfondito i rapporti umani e professionali più ho compreso e apprezzato profondamente di alcuni la capacità di diagnosi, di altri l’eccezionale manualità, di altri ancora l’ampiezza di esperienza e competenze, di altri l’iperspecializzazione, la competenza scientifica, la capacità di empatia con il paziente e molte altre qualità. Il punto è che banalmente non esiste un’unica scala su cui misurare un professionista, ma ovviamente più di una, e dunque è del tutto impossibile definire un “migliore”.

Ma allora non esistendo in odontoiatria un equivalente del ranking ATP per i tennisti cambiando un po’ la domanda:

Come cercare se non “il migliore” quantomeno “quelli bravi”? 

Partiamo da un presupposto: l’odontoiatria italiana nelle sue migliori espressioni è generalmente riconosciuta nel mondo essere ad un livello qualitativo molto elevato. Come in ogni campo poi anche qui troviamo stratificazioni di competenza ed esperienza.

A grandi linee in Italia esistono circa 60mila professionisti abilitati a esercitare la professione di dentista: è facile segmentare questo “piccolo mondo” in differenti fasce. Di questo grande gruppo poco più della metà sono quantomeno iscritti ad una delle due associazioni cosiddette di categoria o sindacali, ovvero ANDI e AIO, è semplice reperire gli elenchi di dentisti iscritti a queste due associazioni. Questa iscrizione testimonia quantomeno un’attività odontoiatrica con un livello minimo di aggiornamento. E’ un possibile primo criterio di valutazione, parliamo di circa 30mila professionisti, uno su due del numero totale di dentisti, un po’ troppo poco selettivo per dire che sono tutti bravi.

Stringendo un po’ di più il cerchio sappiamo che esistono grosso modo 10mila dentisti iscritti ad una o più società scientifiche odontoiatriche. In Italia esistono varie  società scientifiche che in genere raggruppano e promuovono l’aggiornamento nelle varie discipline come la protesi, l’ortodonzia, la parodontologia, l’implantologia, l’endodonzia, la conservativa, etc.

Le più importanti società per autorevolezza, rigore e rappresentatività scientifica sono tutte rappresentate da un organismo di coordinamento, il Comitato Italiano di Coordi­namento delle Società Scien­tifiche Odonto­sto­ma­to­logiche (CIC). In modo molto semplice sul sito del CIC è possibile trovare links ai siti delle Società Scientifiche e su ognuno di questi possono essere facilmente trovati gli elenchi dei soci. In questo caso parliamo di circa uno su sei del totale dei dentisti nazionali.

Per avvicinarci di più al vertice della professione all’interno di questo gruppo di iscritti alle società scientifiche possiamo poi trovare qualche centinaia di dentisti che sono “Soci Attivi” delle stesse. Cosa vuol dire essere “Socio Attivo” di una società scientifica? Varie cose, ma soprattutto vuol dire essere stato giudicato per le competenze cliniche sostenendo e passando un vero e proprio esame generalmente molto selettivo e limitato ad un’area di specializzazione.

Sui siti delle maggiori società scientifiche sono di norma ben evidenziati gli elenchi dei professionisti che si possono fregiare della qualifica di Socio Attivo nelle varie aree di competenza. Siamo a meno di uno su sessanta del totale di professionisti odontoiatri.

Affidandosi ad un socio attivo di prassi il paziente sa di poter contare su di un sanitario che si dedica alla specializzazione della società cui è iscritto con passione e competenza e la esercita ad un livello di eccellenza. La risposta alla domanda “chi sono i dentisti più bravi” a mio parere la troviamo li.

Per tutte le altre domande c’è Google….