Corona e le corone: la comunicazione social e i dentisti

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Corona e le corone: un caso mediatico…

In un mondo di blog, post, comunicazione 2.0 e molto altro ancora, anche la categoria dei dentisti ha guardato e guarda con attenzione ogni mezzo che possa consentire di meglio comunicare ai pazienti messaggi relativi alle varie terapie, che sia una corona o che sia altro.
In questi giorni un video odontoiatrico su YouTube con protagonista Fabrizio Corona e le sue corone sta spopolando con decine di migliaia di visualizzazioni. Se allo stesso tempo se ne occupano una regina del gossip come Selvaggia Lucarelli e una testata come Il Fatto Quotidiano, in genere più propenso a altri  temi evidentemente il fenomeno è davvero trasversale (per quanto le conclusioni siano univoche, per la Lucarelli è “trash come un porno“, per il Fatto è “il marchettone dell’anno”).

Colleghi di tutta Italia hanno commentato quest’opera (dotata di regista e casa di produzione, come ogni “cortometraggio” degno del nome). I commenti sono per lo più relativi a quanto sia trash il video, a quanto siano improbabili le cose dette, a quanto siano esteticamente scadenti le ormai celebri “corone di Corona”. Ma se è vero il vecchio adagio “l’importante è che se ne parli”, 200 mila visualizzazioni davvero non son poche e credo che tanti che a parole sdegnano l’audace impresa di comunicazione sotto sotto vorrebbero veder rimbalzare il proprio nome e link quelle migliaia di volte, che importa che sia per dire “guarda che brutta corona!”.
A prescindere dal fatto che non sempre è valida la strategia “l’importante è che se ne parli“, come ha tremendamente scoperto Walter Palmer, il dentista americano diventato celebre per l’uccisione del leone Cecil, così “celebre” da dover chiudere lo studio e sostanzialmente scomparire professionalmente, il polverone sollevato dal video in questione si presta a più di una riflessione sulla comunicazione social e i dentisti.

I social media hanno avuto in questi anni un impatto tremendo sulla comunicazione, anche in ambito medico. Oggi si dedicano seminari alla comunicazione medica sui social, e riviste scientifiche prestigiose pubblicano analisi sull’uso dei social per divulgazione. Se anni fa pochi maldestramente e al limite della disonestà puntavano alla comparsata sui giornali o a forme primitive di pubblicità televisiva o radiofonica oggi comunicare “quanto sono bravo” apparentemente è alla portata di tutti, e senza bisogno di pagare le vacanze a qualche giornalista (come la leggenda dice facesse un famigerato collega milanese) .“Broadcast yourself” era lo slogan iniziale di YouTube, quindi perché no il pensiero di molti.

Per ragioni familiari mi occupo di denti ormai da un numero sufficiente di anni per ricordare quando per un professionista anche solo l’idea di propagandarsi sarebbe stata disdicevole, ma sono molto consapevole di come il nostro mondo sia cambiato.

Anni fa dopo aver letto un libro ed aver avuto una lunga conversazione con Luigi Centenaro, il primo esperto di “personal branding” italiano, ho iniziato a utilizzare i social media come strumento di comunicazione professionale. Inizialmente quasi un gioco, poi un pezzo di attività professionale come un altro. Molti colleghi hanno storto il naso, oggi gli stessi sono fra i più attivi, da quello che scandalizzato mi descriveva come la polizia postale avesse spiegato nella scuola di suo figlio di star lontani da Facebook, al ricercatore illustre che sdegnato scriveva “raccontalo al popolo di Fb” al collega che tentava semplici forme di comunicazione scientifica odontoiatrica su social. Quotidianamente vedo che hanno decisamente cambiato idea e me ne rallegro. Solo un paio di anni fa per un commento son finito in una rubrica di una newsletter un po’ snob di una bella società scientifica alla voce “il peggio di internet“, oggi vedo con piacere che quella società è fra quelle più attive sui social. All’inizio eravamo in pochi, oggi vedo che ci siamo quasi tutti, e (cosa che mi fa davvero sorridere) chi non c’è sa tutto di cosa fa chi c’è. Il mondo è cambiato in fretta, alcuni si sono adattati prima di altri, a volte con qualche invidia di troppo, anche dai più insospettabili, la colpa quella di aver fatto quello che altri potevano fare.

Premetto subito che nel momento in cui ci si mette in un’ottica di comunicazione non giudico il criterio di scelta di quello che decidiamo di comunicare, ne il criterio con cui un professionista identifica il “testimonial” con cui propagandarsi, ne il fatto che questi testimonial possano essere semplicemente scritturati piuttosto che reali pazienti. Ho colleghi americani che investono cifre assolutamente importanti per questo genere di comunicazione. Non mi interessa giudicare il video, il personaggio Corona, nemmeno le sue corone. La questione non è se il personaggio sia Corona o Dustin Hoffman.

L’unico punto che mi interessa è che idea di rapporto medico paziente ci sia dietro alle forme di comunicazione scelte.
Ho la fortuna di lavorare da ormai un quarto di secolo in uno studio che ha visto passare dal 1959 ad oggi molte migliaia di pazienti. Abbiamo curato persone di ogni genere, da un paio di premi Nobel a umili operai, da principi della Chiesa a casalinghe non disperate e persino di Voghera, da attori celebri a persone del tutto ignote, da amministratori delegati di grandi gruppi a fattorini degli stessi, da poeti a ingegneri. Abbiamo soprattutto avuto la fortuna di curare famiglie, generazioni di famiglie, generazione dopo generazione.
Di ogni paziente credo che un clinico debba avere la responsabilità della cura, che condivide con il paziente (non per niente si parla di “alleanza terapeutica“) ma anche la responsabilità della riservatezza, che invece porta da solo (il paziente ovviamente è libero di parlare con chiunque nel male o speriamo nel bene del suo medico). Questo obbligo non lo vedo perché ce lo impongano anche rigorose leggi sulla privacy, ma perché per quanto mi riguarda una persona che si affida ad un medico non deve essere allo stesso tempo strumento di richiamo, inconsapevole o consenziente (o persino retribuito) che sia.

In altre parole se il miglior rapporto medico paziente è quello più diretto possibile, un rapporto “esposto” al mondo per ragioni di immagine cessa di essere diretto, ma diventa condizionato  da mille altri risvolti.
Non credo al “facciamoci una foto assieme” non perché mi manchi il paziente con cui fare la foto, ma perché banalmente per come vedo la mia professione mi manca la faccia per dirgli parole che corrispondano ad un “scusa, ti spiace se ti uso per farmi un po’ di pubblicità?”.
In parole povere se Tu paziente ti sei affidato a me per me la Tua fiducia è importante, dunque io semplicemente non ho  voglia di usare un rapporto di terapia per altro, per quanto sia altro di cui riconosco l’importanza.

Se ho deciso di comunicare preferisco comunicare quello che faccio io, i congressi a cui sono invitato a parlare, che siano in Italia, in qualche parte degli Stati Uniti piuttosto che in Cina.

Il nostro rapporto preferisco che resti protetto, perché mi rende tutto più facile e più chiaro.
Axel Munthe “medico alla moda” nella Roma di inizi ‘900 in un capitolo del bellissimo “La storia di San Michele” consigliava ai pazienti di temere un medico alla moda, “sarà di fretta con voi per correre a visitare la baronessa…”, oggi forse scriverebbe “temete il medico che si fa il selfie con il paziente, sarà più preoccupato di come viene nella foto che di altro”.

Ognuno di noi fa corone, qualcuno fa le corone a Corona ed è così contento da volerlo far vedere a tutto il mondo…, ma certamente i concetti che abbiamo sia di una corona che della gestione del rapporto medico paziente sono oggi molto vari.

In definitiva quello che conta è che il paziente è giustamente libero di scegliere che corona vuole così come che stile di rapporto. Anche questo è il bello di questo lavoro in questi tempi.

“Un odontoiatra controcorrente”

Intervista DM1Intervista DM2Intervista DM1Il numero di Aprile 2014 de “Il Dentista Moderno” riserva un’intervista al dr. Carlo Poggio.

Il Dentista Moderno è con oltre 20mila copie di tiratura una delle testate specialistiche nazionali di maggior diffusione nel settore odontoiatrico.

 

 

 

 

 

Un odontoiatra controcorrente

di Pierluigi Altea

“È Carlo Poggio, classe 1968. Figlio d’arte, esercita la libera professione nel cuore di Milano, a pochi passi dal Duomo. Si definisce un odontoiatra di vecchio stampo, grazie agli insegnamenti del padre e al suo status di socio attivo di tre importanti società scientifiche odontoiatriche (Aiop, Sido e Sidp). Nella sua storia la ricetta per restare sul mercato con successo, nonostante la crisi.
 

Della sua infanzia ricorda con piacere i momenti trascorsi nello studio del papà. Era un luogo bello, divertente proprio com’è suo padre che, ancora oggi, a 86 anni, quando un suo paziente glielo chiede, torna a vestire i panni del dentista. È questa la vera ragione della scelta professionale intrapresa da Carlo che a 18 anni era indeciso: in realtà, avrebbe voluto fare l’ingegnere, ma quelli che conosceva, racconta, gli sembravano poco brillanti e anche un po’ tristi, soprattutto se paragonati al padre, di qui la decisione di seguire le orme paterne. Nel 1992 si laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria con lode presso l’Università degli Studi di Milano. Dopo alcuni anni dedicati alla ricerca di base nel campo della crescita cranio-facciale, presso lo stesso Ateneo consegue il Dottorato di Ricerca in Anatomia (1996) e la specializzazione in Ortognatodonzia con lode (1999). Inizia così a esercitare la professione nello studio del padre, ma contemporaneamente segue diversi corsi clinici biennali in parodontologia con il Dottor Gianfranco Carnevale, in protesi con il Dottor Gianfranco Di Febo, in ortodonzia con i Dottori Roth, Williams e Cocconi. Dal 2007 esercita la libera professione nel suo nuovo studio, nel centro di Milano, a pochi passi dal Duomo, dedicandosi al trattamento riabilitativo protesico di pazienti con condizioni complesse e necessità interdisciplinari.

Ė socio attivo di tre importanti società scientifiche odontoiatriche, l’Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica (AIOP), la Società Italiana di Ortodonzia (SIDO) e la Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP). Dal 2009 fa parte del Consiglio Direttivo dell’AIOP, dal 2014 del Consiglio Direttivo del CIC. Nel 2010 ha fatto parte delle Commissioni Ministeriali per la realizzazione delle Raccomandazioni Cliniche in Protesi e in Gnatologia.

Dal 2000 al 2012 è stato Professore a contratto di Terapie Interdisciplinari presso la Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia dell’Università degli Studi di Milano diretta dal Professor Salvato. Dal 2009 è Adjunct Assistant Professor presso il Department of Prosthodontics, Eastman Oral Health Institute,University of Rochester (NY). Dal 2009 è membro dell’Oral Health Group della Cochrane Collaboration. Ha svolto attività di referee per le riviste Clinical Oral Implants Research, Progress in Orthodontics e per la Cochrane Review. Nel 2003 e nel 2005 ha vinto il Premio Nazionale SIDO per la miglior comunicazione orale clinica. Ha tenuto seminari presso le università di Milano, Bologna, Pisa, Basilea, Manchester, Nizza, Harvard. Autore di oltre 30 articoli su riviste peer-reviewed con IF e 60 articoli e abstract congressuali su altre riviste, poche settimane fa è stato tra i relatori, l’unico italiano, dell’86° Congresso dell’American Prosthodontic Society, tenutosi lo scorso febbraio a Chicago.

Il prossimo 3 ottobre, a Milano, invece, parteciperà al convegno “L’odontoiatria orientata al paziente. L’importanza del team”, organizzato da Il dentista moderno: una ragione in più per incontrarlo.

Dottor Poggio si è mai pentito di non essere diventato ingegnere?
No, anche se inizialmente qualche dubbio mi venne perché alla fine degli anni ’80 il corso di laurea in Odontoiatria mostrava molte lacune, soprattutto sui contenuti tecnici. Poi, però, per fortuna, incontrai il professor Ferrario dell’Istituto di Anatomia: con lui realizzai la mia tesi di laurea e conseguii il dottorato di ricerca. Fu un’esperienza davvero utile, perché lavorando con una persona molto razionale, ho imparato un metodo di studio e di lavoro con un approccio altrettanto razionale ai problemi.
Cosa le ha insegnato invece suo padre di questa professione?
Innanzitutto lo spirito, ma anche l’idea, forse un po’ fuori moda, di una dedizione alla professione di vecchio stampo, basata sulla formazione, oltre che sul rapporto personale con i pazienti, su come creare un legame di fiducia anche attraverso piccoli gesti. I miei pazienti, ad esempio, hanno tutti il mio numero di telefono personale: è un segno di attenzione molto apprezzato perché autentico.
Quando ha iniziato ad appassionarsi davvero all’odontoiatria?
Quando ho iniziato a esercitarla in modo autonomo, dopo essermi formato adeguatamente. In quanto figlio d’arte, rispetto ai miei coetanei ho avuto il vantaggio di potermi dedicare con maggior agio a questo aspetto. Poi, ho avuto anche la fortuna di crescere in un ambiente stimolante sotto questo profilo, perché all’età di 5 anni ho iniziato a frequentare con mio padre i congressi di ortodonzia di mezzo mondo. Dopo la laurea, il mio interesse si è concentrato sull’ortodonzia e sull’implantologia, ma lavorando nello studio di mio padre, insieme a mia sorella specialista in protesi e mio cognato in parodontologia, ho avuto anche la possibilità di confrontarmi con queste altre discipline. Poi, alla fine degli anni ’90 mia sorella si trasferì nel Veneto insieme a suo marito e io mi ritrovai nelle condizioni di dover operare autonomamente, dato che mio padre comunque stava riducendo la sua attività. A quel punto mi sono concentrato sulla protesi, la disciplina che permette di gestire un trattamento nella sua complessità, praticando però anche tutte le altre branche dell’odontoiatria. Mi sono appassionato a questo lavoro quando ho iniziato a gestire casi clinici complessi, quelli che richiedono creatività per trovare le giuste soluzioni.
Nel 2007, alla vigilia della crisi economica, ha aperto lo studio in cui esercita tutt’oggi, nel centro di Milano: dunque si riesce a lavorare anche nei periodi di crisi?
Sì, nonostante le difficoltà che senza dubbio esistono, tuttavia il mio ottimismo mi spinge a credere che nella vita, se ci si mette di impegno, qualcosa si riesce a realizzare. D’altronde, lo vedo anche nei colleghi che come me si sono affermati in questi ultimi anni. La cosa importante è essere capaci e affidabili. Poi, è giusto che esista la concorrenza, anche se nel mondo sanitario la troppa competizione, soprattutto se basata prevalentemente sul prezzo, può andare a discapito del paziente che per risparmiare si rivolge ai centri low-cost, senza avere la consapevolezza del fatto che sovente di lì a qualche anno dovrà sottoporsi nuovamente ad altre cure di migliore qualità, vanificando il risparmio presunto.
Milano è un crocevia di storie e di interessi: chi sono i suoi pazienti?
In realtà, sono persone di tutte le estrazioni sociali, anche se non mancano illustri personaggi della cultura e dell’imprenditoria. Ma la soddisfazione più bella è quella di curare intere famiglie alla loro terza generazione: una tradizione inaugurata da mio padre che io cerco di portare avanti con la stessa dedizione.
E i pazienti stranieri, invece….
Negli ultimi anni sono arrivati, ad esempio russi, persone che solitamente hanno problemi legati a una cattiva odontoiatria e che ora hanno tempo, possibilità e mezzi economici per curarsi: per questo chiedono di poterlo fare nel miglior modo possibile.
Quanto è importante per un libero professionista la formazione?
Ė fondamentale. Lo è stata per me e continua a esserlo, e lo è per le nuove generazioni. Oggi ho la fortuna di partecipare a corsi e convegni come relatore, in Italia, ma anche all’estero. Poche settimane fa, ad esempio, sono stato negli Stati Uniti, ospite dell’86° Congresso dell’American Prosthodontic Society: unico italiano invitato a parlare. È stata una grande soddisfazione personale, ma anche per l’odontoiatria italiana, molto apprezzata all’estero per il livello scientifico di cui è espressione, oltre che per i risultati estetici di cui è capace.
A proposito di formazione,di cosa parlerà il prossimo 3 ottobre a Milano, al convegno organizzato da Il dentista moderno?
Presenterò una relazione dal titolo, “La riabilitazione protesica dei casi complessi: il protocollo d’intervento”, dove cercherò di spiegare quando è conveniente adottare un approccio multidisciplinare, ma soprattutto come attuarlo perché sia davvero vantaggioso per il paziente.
Cosa si aspetta dal futuro?
Non lo so. In questo momento è davvero difficile fare previsioni. Ogni giorno amici, colleghi e pazienti raccontano di una realtà sempre più complicata. Speriamo in una ripresa dell’economia. Per contro, mi tranquillizza l’idea che, tutto sommato, noi odontoiatri abbiamo il vantaggio di avere nelle nostre mani una professione che può essere esercitata ovunque, in qualunque angolo del mondo. Forse questa consapevolezza può esserci utile per affrontare il presente e progettare meglio anche il nostro futuro.”

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Intervista DM 2014 pag2

L’Odontoiatria di qualità al tempo della Grande Crisi

fiducia-nel-sorrisoIn un periodo di generale riduzione delle risorse economiche, sempre più spesso il tema del costo delle cure dentali si pone in modo prioritario rispetto ad altri parametri di valutazione come, ad esempio, la qualità delle stesse.
In generale siamo portati a chiederci indistintamente per merci, prodotti, servizi, nel nostro caso terapie mediche: “Può costare poco se vale?”.

Il giusto valore economico

È una riflessione comune, che poggia su elementi che il buon senso ci porta a ritenere importanti: più o meno tutti riconosciamo che tempo, dedizione e qualità di materia prima devono corrispondere ad un certo valore economico, con una qualche proporzionalità. Allo stesso tempo il “più costa, più vale” è anche un modo di ragionare che il marketing sfrutta con abilità e lo stesso buon senso ci porta a comprendere che non tutto quello che costa molto vale molto.
Altro approccio può essere il tema dell’efficienza della gestione dei costi: un supermercato può certamente vendere un prodotto a meno di un piccolo negozio (struttura più efficiente, minori costi a parità di qualità di servizi). In una certa misura senz’altro il ragionamento calza anche alla struttura sanitaria, fatte salve le specificità della fornitura di un servizio anziché di una merce e di un servizio che contiene anche aspetti difficilmente quantificabili, come il rapporto fiduciario medico-paziente e quello che determina, in modo particolare nelle situazioni più complesse. In una terapia medica la fiducia riposta nel curante gioca un ruolo assolutamente rilevante, ma difficilmente può essere quantificata economicamente, ancor meno smaltita in un ottica di economia di scala (gran volume di terapie, gran volume di fiducia…).

Distinguere le priorità di trattamento

Senza entrare in complesse analisi sociologiche, gestionali e altro, quello che qui mi interessa è dare risposta ad alcune domande frequenti e tutt’altro che banali. Spesso visito pazienti che si presentano con preventivi già fatti altrove, a “prezzi stracciati”, con eccezionali sconti e promozioni da discount. La domanda è: “Dottore è necessario?” ,“Se non lo faccio cosa succede?”, “Quali sono le alternative?”. E’ stupefacente osservare con che frequenza molte di queste terapie siano del tutto superflue, non necessarie (quando persino controproducenti). Di più: è assolutamente interessante osservare come molte delle offerte recenti di servizi odontoiatrici “low cost”, che si auto definiscono come risposta alla necessità di terapie a costi contenuti per larghe fette della popolazione, promuovano in realtà in modo massiccio prestazioni che appartengono totalmente alla sfera della cosmetica. Apparecchi invisibili, sbiancamenti, faccette in ceramica sono i termini di paragone di pubblicità visibili ovunque. Sia chiaro: non ho nulla da eccepire sulla possibilità di risultati meravigliosi con queste terapie, nulla da eccepire sull’importanza di una correzione di inestetismi a livello del sorriso, spesso fonte di molti problemi. Specifico con decisione: non ho nessuna intenzione di dire che l’estetica non conta nel campo delle terapie dentali, assolutamente no. Quello che tuttavia deve essere detto chiaramente è che in un ambito di priorità di trattamento, nel momento in cui si renda necessario conciliare necessità di budget con prestazioni sanitarie odontoiatriche alcuni criteri sono molto semplici: il costo dell’eliminazione di un dolore di tipo dentale è normalmente limitato, il costo di un’adeguata prevenzione (cosiddetta detartrasi o igiene orale periodica, eseguita da un Igienista Dentale laureato, in un tempo variabile tra i 45 minuti e l’ora) si ripaga sempre nel tempo in termini di evitare costi ulteriori, molte terapie protesiche sono procastinabili nel tempo.
In una scala di priorità, eliminato il sintomo principe “dolore” (normalmente qualcosa che può essere fatto con costi e tempi contenuti), possiamo dire che la prevenzione (igiene orale, controlli) sta sempre al primo posto. Ogni situazione ovviamente deve essere valutata nello specifico, ma certamente qualità può e deve essere data anche a fronte di un budget con delle limitazioni.